DOSSIER – Tripoli, bel suol d’amor…

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lib2Di Salvo Barbagallo

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Sai dove s’annida più florido il suol?

Sai dove sorride più magico il sol?

Sul mar che ci lega coll’Africa d’or,

la stella d’Italia ci addita un tesor.

Tripoli, bel suol d’amore,

ti giunga dolce questa mia canzon,

sventoli il Tricolore sulle tue torri al rombo del cannon!

Naviga, o corazzata: benigno è il vento e dolce è la stagion.

Tripoli, terra incantata, sarà italiana al rombo del cannon…

Qualche nostalgico, o qualche cultore di musiche del passato sicuramente ricorderà questa canzone rimasta in voga fino alla caduta del fascismo. Erano altri tempi, no? Non li rievochiamo di certo per nostalgia (anzi), ma per rammentare che “un” presente viene sempre da un passato, più o meno lontano. Era il 28 settembre del 1911 quando l’ambasciatore italiano a Costantinopoli consegnava l’ultimatum dell’Italia all’Impero Ottomano, che aveva il possesso di Tripolitania e Cirenaica. Il giorno dopo il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, pur non avendo il consenso del Parlamento (ancora in vacanza), dichiarava guerra alla Turchia e l’Italia partiva alla conquista dell’Africa. In appena un anno, il 18 ottobre 1912, a seguito del trattato di pace di Losanna, la Libia da provincia ottomana era diventata colonia italiana e Gabriele D’Annunzio poteva cantare la gioia della conquista “d’Oltremare…

libiaimNon dobbiamo ricordare la storia rapportandola ai fatti odierni con l’ultima “fuga” degli italiani dal suolo libico invaso dalle milizie del Califfato che ora, con spavalderia, minaccia (non solo) l’Italia, affermando di essere già “al sud di Roma”. Né dobbiamo ricordare la presa (incruenta) del potere da parte di Gheddafi il 1° settembre del 1969, né il rimpatrio di oltre ventimila connazionali il 21 luglio del 1970, né come lo stesso Gheddafi non toccasse i 2000 tecnici e le proprietà di Eni e Fiat, né dobbiamo rammentare i rapporti che si instaurarono dopo fra il Governo italiano (e altri Governi) con quello libico nonostante che Gheddafi fosse nella “lista nera” internazionale. Riteniamo utile ricordare avvenimenti più vicini e lasciare agli accademici le considerazioni storiche di oltre un secolo di rapporti che molti Paesi (europei e no) hanno intrattenuto con la Libia.

Tripoli (la Libia) oggi non è “terra incantata” né terra “italiana”, ma non lo era neppure nel marzo del 2011 quando venne portato avanti l’attacco militare da Paesi aderenti all’ONU autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno, istituì una zona d’interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l’incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu’ammar Gheddafi e le forze ribelli nell’ambito della guerra civile libica. Basti ricordare che l’intervento armato venne “inaugurato” dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, seguito, dal lancio di missili (300) da crociera tipo “Tomahawk” da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia e che ai raid partecipò anche l’Italia con velivoli che decollavano da Sigonella. In quel frangente sul nostro giornale (allora cartaceo) scrivevamo “La guerra che la gente non capisce”, ponendoci l’interrogativo “Si combatte per il predominio dei giacimenti petroliferi?”. Ora indubbiamente le cose sono cambiate, ma rimane il dubbio (almeno, il dubbio rimane a noi) che l’attuale situazione degenerata sia nata proprio con la eliminazione di quel Gheddafi che fino a quando era stato utile veniva osannato, e poi (ma i criteri del cambiamento di opinione non sono noti).definito “feroce dittatore” da togliere di mezzo. Di certo non saremo noi a ridefinire in positivo la figura del “fu” Gheddafi, ma (altrettanto certamente) non diremo che quella fu una “guerra santa” che spianava la strada alla “Primavera” libica.

La-guerraGiampaolo Rossi ha scritto diverse settimane addietro un articolo dal titolo “Disastro Libia: ecco chi dobbiamo ringraziare”, indicando i nomi (a suo dire) dei responsabili: Nicolhas Sarkozy, Hillary Clinton e Giorgio Napolitano. E nell’articolo spiega il perché: Sarkozy, “Fu lui a guidare le potenze occidentali al riconoscimento di un governo libico d’insorti che aveva la legittimità di un pinguino nel Sahara e fu lui ad imporre, ad un recalcitrante Obama, i bombardamenti contro l’esercito di Gheddafi che portarono la Nato ad entrare a gamba tesa in una guerra civile schierandosi uno dei contendenti e violando così il principio di non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano…”; Hillary Clinton, “Fu lei a trascinare di malavoglia l’amministrazione Obama nella guerra “francese” in nome della difesa di diritti umani che in Libia erano violati più dai ribelli che dai lealisti di Gheddafi; e lo fece applicando un principio del tutto nuovo: quello della guerra umanitaria preventiva. L’idea cioè, che gli Usa, in Libia dovessero intervenire non per i punire crimini commessi dal regime ma quelli che avrebbe potuto commettere…”; Giorgio Napolitano, “Fu lui a spingere l’Italia nella guerra facendoci aderire alla coalizione che doveva applicare la risoluzione Onu, ma di fatto abbattere il regime libico al grido: “non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo…”. Beh, oggi non sappiamo quanti possano ancora credere che ci siano state “Primavere arabe” o “Risorgimento arabo”, ora che con le milizie del Califfato alle porte si guarda quanto sta accadendo con altra ottica.

Con altri occhi, sicuramente suo malgrado, osserva l’attuale situazione il ministro dell’Interno Angelino Alfano che afferma in un’intervista al quotidiano “La Repubblica” “Non bisogna perdere un minuto, bisogna intervenire in Libia con una missione Onu, la comunità internazionale deve capire che è cruciale per il futuro dell’Occidente”, ammettendo “Come possiamo spegnere l’incendio in Libia e arginare i flussi migratori? Rischiamo un esodo senza precedenti e con una difficoltà di controllo. Meglio tardi che mai, per capire il momento che si attraversa, noi, però, ci chiediamo “il ministro Alfano non si avvale di esperti e consulenti adeguati ad analizzare lo svolgersi degli avvenimenti?”. Se il ministero dell’Interno non avesse capacità di analisi efficienti, quale futuro potrebbe attendere tutti gli italiani? Ovviamente siamo convinti dell’efficienza dei nostri servizi, tant’è che si apprende (notizia più che positiva) che il ministero dell’Interno sin dall’11 settembre del 2001 ha compilato (aggiornandola costantemente) una lista dei luoghi sottoposti a speciale sorveglianza nel nostro Paese: sono ben 13.421, tra i quali 8.069 considerati a rischio.

Adesso, superata la fase delle riflessioni, si dovrà arrivare alla fase delle decisioni da prendere: dovrebbe essere l’ora che governanti e politici mettessero da parte le loro beghe di basso profilo per considerare il possibile “stato d’emergenza” che il Paese vive e affrontare ciò che si prospetta con serenità e senza strumentalizzazioni di parte. Ciò si rende necessario, se è vero che si vuole un “bene comune”.

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